La Basilica di San Vitale è uno fra i luoghi di culto cattolici più famoso al mondo. Capolavoro assoluto dell’arte paleocristiana e bizantina, nel 1996 è stato inserito nella lista dei siti italiani patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e recentemente riconosciuta come uno dei 19 luoghi sacri più importanti al mondo dal prestigioso magazine online statunitense Huffington Post.
Questa costruzione riassume in modo originale il carattere precipuo dell’arte ravennate tardoantica: combina elementi architettonici romani, come la cupola e la forma dei portali, con elementi bizantini, ad esempio l’abside poligonale e i capitelli. Lo sfarzo della costruzione è sottolineato dalla pianta ottogonale che deve essere percorsa per intero affinché si possa fare esperienza degli innumerevoli scorci interni.
La basilica è stata costruita sulle ceneri di un sacello cruciforme, dedicato molto probabilmente a Vitale, servo di Agricola e compartecipe del suo martirio. Promossa da Ecclesio (522 – 532) in dominio goto, il progetto è stato ultimato nel 547, anno della sua consacrazione da parte di Massimiano. Nel corso dei secoli, San Vitale ha subito molte trasformazioni, talvolta discutibili, per mano di soggetti diversi e persino calamità, come il terremoto che nel 1688 distrusse il campanile, poi ricostruito.
L’attuale assetto del presbiterio è il risultato di restauri attuati nei primi decenni del XX secolo: rifacimento della pavimentazione, ricostruzione del synthronon lungo l'emiciclo dell'abside e della sovrastante decorazione ad intarsi marmorei. Fulcro ideale dell’intero edificio è difatti la decorazione musiva del presbiterio, ricca di riferimenti teologici e ravvivata da una tavolozza artistica stupenda. L’arco absidale rappresenta una celebrazione della sovranità ultraterrena di Cristo che unisce ebrei e gentili in unico popolo. Nei due riquadri che affiancano la trifora ai piedi del catino sono raffigurati i sovrani terreni che prendono parte all’alta cerimonia: Giustiniano e Teodora in vesti purpuree, al pari di Cristo, inseriti in scene speculari e affiancati da soldati e dame.
La basilica, con i suoi mosaici e affreschi d’ispirazione biblica, rappresenta in tutta la sua magnificenza il potere teocratico dell’Impero Romano.
Le colonne della basilica, in marmo di Proconneso, poggiano su basi poligonali e sono sormontate da elegantissimi capitelli di varia foggia, tra cui spicca il modello ad imposta di struttura tronco-piramidale, lavorato a giorno e talora decorato con temi floreali di gusto sassanide; a differenza di quanto avviene a Costantinopoli, da cui è stata verosimilmente importata l'intera serie di sculture architettoniche, tale modello di capitello non esclude la presenza generalizzata dei pulvini, che nelle trifore inferiori del presbiterio appaiono singolarmente decorati con agnelli alla croce e pavoni al kantharos.
Sopra i grandi arconi è impostata, con trombe concave di collegamento, la cupola, realizzata con tubi fittili incastrati concentricamente; priva con tutta probabilità di rivestimento musivo in origine, presenta oggi un affresco di gusto tardobarocco, opera dei bolognesi Serafino Barozzi e Ubaldo Gandolfi e del veneziano Giacomo Guarana (1780-1781) a sostituzione di una precedente decorazione rinascimentale di Giacomo Bertuzzi e Giulio Tonduzzi (1541-1544), che, a sua volta, ne rimpiazzava una di età altomedioevale.
Il pavimento dell'ottagono centrale è diviso in otto triangoli, due dei quali risalenti all'originario mosaico pavimentale giustinianeo, con un vaso da cui si dipartono racemi di vite, mentre la parte restante appartiene al nuovo pavimento di età rinascimentale, che tuttavia reimpiega elementi del pavimento con figure di grandi animali e iscrizioni del XII secolo, di cui altri frammenti sono conservati nel matroneo. Nella parete meridionale della chiesa è applicato al muro il mosaico pavimentale con uccelli (V sec.) ritrovato negli scavi del sacello sottostante la basilica, la cui posizione originale è oggi sottolineata dal pozzetto ricavato nel pavimento stesso, innanzi all'ingresso. Sempre lungo il lato meridionale della basilica è stata temporaneamente collocata la fronte del sarcofago di Ecclesio, conservato fino al XVIII secolo nel sacello circolare a sud dell'abside (Sancta sanctorum), assieme a quelli di Ursicino e Vittore; esso presenta, in un rilievo piattissimo, due pavoni e due miniaturistici cervi dinnanzi a una croce gemmata (secondo quarto VI secolo). Il sarcofago a colonne collocato a fianco, databile ai primi decenni del V secolo, costituisce invece un significativo esempio della più antica serie di sarcofagi ravennati, caratterizzata dalla presenza a fianco di figurazioni zoomorfe anche di figurazioni antropomorfe. La fronte raffigura, con vigoroso plasticismo, una movimentata scena di Adorazione dei Magi, mentre nei lati minori si contrappongono le scene soteriologiche della Resurrezione di Lazzaro e di Daniele tra i leoni; il retro mostra due raffinatissimi pavoni a lato di un cristogramma entro clipeo, con palme laterali. Il coperchio reca sulla fronte l'epitafio in greco dell'esarca Isacio per il quale, nel VII secolo fu reimpiegata la cassa (la traduzione latina sul retro è rinascimentale).
La decorazione musiva del presbiterio costituisce il fulcro ideale dell'intero edificio, nella densità dei riferimenti teologici espressi attraverso una poderosa architettura compositiva, ravvivata da una tavolozza coloristica di sfolgorante bellezza. L'arcone d'ingresso presenta in una serie di quindici clipei il busto di Cristo, barbato, affiancato da quello degli apostoli e, in basso, di S. Gervasio e Protasio. Le lunette delle trifore inferiori illustrano episodi tratti dal libro della Genesi, che si ricollegano al mistero del sacrificio eucaristico, che nello stesso luogo viene celebrato, e allo stesso tempo richiamano profeticamente l'incarnazione di Cristo, secondo l'esegesi dei Padri della Chiesa. La lunetta destra presenta al centro un unico altare a cui portano le offerte due personaggi di condizione dissimile, ancorché entrambi intesi come prefigurazioni del Messia: Abele, a sinistra, in vesti pastorali, proveniente da una stilizzata capanna, offre un agnello (Gn 4, 3-4), mentre a destra Melchisedec, figura sacerdotale per antonomasia, in ricche vesti, nell'atto di uscire da un tempio monumentale, offre pane e vino (Gn 14, 18-20). Sull'altra lunetta domina al centro un tavolo a cui siedono i tre misteriosi personaggi, qui con nimbo ed aureola, apparsi ad Abramo presso la quercia di Mamre (Gn 18, 1-15) e che vengono identificati nella tradizione cristiana come immagine della Trinità; il patriarca offre in un piatto carne di vitello (stilizzata come un minuscolo bovino), mentre all'estrema sinistra siede all'ingresso della sua capanna con aria dubitosa la moglie Sara, a cui verrà annunciata la nascita tardiva di un figlio. A destra è invece rappresentato l'episodio del sacrificio di Isacco (Gn 22, 1-18): Abramo, in atto di colpire con la spada il figlio, è fermato dall'intervento di Dio, rappresentato come mano emergente dalle nuvole, provata ormai la sua totale ubbidienza; ai piedi del gruppo l'ariete che verrà sacrificato al posto di Isacco. L'estradosso di entrambe le lunette si richiama sempre all'annuncio veterotestamentario dell'avvento del Redentore attraverso la figura cardine del precursore Mosè, che compare in due episodi, in entrambi i casi nello spazio rivolto verso l'abside: nella parete destra è raffigurato in basso mentre pascola le greggi delle figlie di Ietro (Es 3, 1 ss.), mentre al di sopra appare sul monte Oreb-Sinai mentre si scioglie i sandali di fronte alla presenza di Dio, di cui emerge la mano tra le nuvole (qui le fiammelle tra le rocce sembrano reinterpretare il riferimento al roveto ardente di Es 3, 2-4 attraverso l'immagine del monte interamente invaso dal fuoco divino in Es 19, 18). Sulla parete opposta, a destra sono rappresentati in basso gli ebrei che attendono la discesa di Mosè, che sul monte, in alto, riceve dalla mano di Dio un rotolo con i comandamenti (Es 19 ss.). Al centro dell'estradosso di ogni lunetta compaiono due angeli che reggono trionfalmente la croce entro un clipeo, mentre nel lato rivolto verso la navata spiccano le figure dei profeti Isaia, nella parete destra, e Geremia, in quella sinistra, che preconizzarono la venuta di Cristo, e il mistero della sua passione.
Nella zona delle trifore superiori dominano le grandi figure degli evangelisti, testimoni dell'avvenuta Incarnazione, Morte e Resurrezione del Figlio dell'uomo: essi reggono nelle mani il rispettivo Vangelo e appaiono sormontati dai quattro esseri viventi dell'Apocalisse ad essi tradizionalmente associati: nella parete settentrionale Giovanni a sinistra con l'aquila e Luca, a destra, con il vitello, nella parete meridionale Matteo a sinistra, con l'uomo alato e Marco a destra, con il leone. Nelle lunette al di sopra delle trifore superiori, ampiamente restaurate, si snodano racemi di vite a partire da due kantharoi, affiancati da colombe.
La volta a crociera del presbiterio presenta ai quattro angoli grandi pavoni con coda frontalmente spiegata da cui si dipartono lungo le nervature festoni di foglie e frutti; questi si collegano alla corona mediana, sorretta da quattro angeli, che racchiude l'immagine dell'agnello mistico, culmine della tematica sacrificale e cristologica dell'intero presbiterio, ora riportata in una prospettiva apocalittica. Le quattro vele sono occupate da grandi racemi d'acanto entro cui si dispongono molteplici animali, forse come allegoria dell'albero della vita.
L'arco absidale presenta nei pennacchi due palme, al di sopra delle quali sono raffigurate le due città di Betlemme e Gerusalemme, simbolo degli ebrei (l'ecclesia ex circumcisione) e dei gentili (l'ecclesia ex gentibus) uniti in un solo popolo da Cristo; sopra il vertice dell'arco due angeli reggono un clipeo su cui si staglia una raggiera ad otto bracci, che rimanda al reinterpretazione cristiana di un immaginario solare già legato al culto imperiale. La finestra a trifora si riallaccia a quelle degli altri due lati del presbiterio, con due canestri con vite emergente e colombe, a cui si aggiungono più al centro due vasi con racemi d'acanto.
La decorazione dell'emiciclo absidale porta a compimento la prospettiva escatologica già presente nella volta del presbiterio, associandola tuttavia ad una nota espressamente celebrativa, tanto nei confronti della tradizione della chiesa ravennate, quanto del diretto intervento imperiale nel compimento del grandioso edificio.
Al centro del catino, su un cielo aureo solcato da nubi rosse e azzurre campeggia, assiso su un globo azzurro, Cristo, rappresentato imberbe, con nimbo decorato da una croce gemmata, in regali vesti purpuree; ai suoi piedi sgorgano i quattro fiumi paradisiaci da zolle erbose ricolme di fiori, fra cui si aggirano, ai lati, pavoni. Cristo, che tiene nella sinistra il rotolo apocalittico con i sette sigilli, è fiancheggiato da due angeli, con vesti bianche; essi introducono S. Vitale, a sinistra, che riceve con mani velate, secondo il rituale imperiale, la corona del martirio che Cristo gli porge, e il vescovo Ecclesio a destra, recante nelle mani il modello della stessa basilica. Il reimpiego di elementi dell'iconografia ufficiale romana per evocare la regalità di Cristo è ulteriormente sottolineato dal fregio che orla l'intradosso del catino, in cui, al centro di due serie ornamentali di cornucopie incrociate, un cristogramma gemmato è affiancato da due aquile, legate all'immaginario dell'apoteosi imperiale. Alla celebrazione della sovranità ultraterrena di Cristo si uniscono i rappresentanti stessi della sovranità terrena nei due riquadri che affiancano la trifora ai piedi del catino: a sinistra è lo stesso Giustiniano ad essere rappresentato mentre dona alla basilica una patena aurea, seguito a sinistra da dignitari e soldati; definito con notevole precisione ritrattistica, l'imperatore bizantino al pari di Cristo presenta veste purpuree, qui trattenute da una fibula gemmata, con tablion aureo ricamato, mentre il capo, sacralmente cinto dal nimbo, reca un diadema di pietre preziose. A destra di Giustiniano, separato da un personaggio non più identificabile (Giuliano Argentario, Belisario?), è ritratto lo stesso vescovo consacrante Massimiano (secondo una recente teoria in sostituzione della figura di Vittore originariamente prevista), vestito di una dalmatica aurea e pallio crucisignato, seguito da un diacono e da un incensiere. Protagonista del riquadro del lato opposto è l'Imperatrice Teodora (mai venuta a Ravenna, al pari di Giustiniano), raffigurata su uno ieratico sfondo architettonico mentre offre un calice aureo; anch'essa in vesti purpuree, con nimbo e ricchissimo diadema sul capo, è affiancata a destra da una serie di dame, dalle raffinate vesti ricamate multicolori, e a sinistra da due dignitari, uno dei quali in atto di scostare la tenda dell'ingresso della chiesa, innanzi al quale è collocata la fontana per le abluzioni.
L'attuale assetto del vano presbiteriale è dovuto in forma sostanziale ai restauri attuati nei primi decenni di questo secolo, che hanno portato al rifacimento della pavimentazione, alla ricostruzione del synthronon lungo l'emiciclo dell'abside e della sovrastante decorazione ad intarsi marmorei (opus sectile). Nel 1954 è stato ricomposto l'altare recuperando tre lastre in marmo proconnesio ed una mensa in alabastro la cui pertinenza all'originario arredo della basilica non è improbabile; la fronte della cassa presenta due agnelli, sul cui capo sono sospese corone, a lato di una croce, mentre i fianchi presentano semplici croci, con ghirlande pendenti. In età rinascimentale il lato interno dei due pilastri del presbiterio è stato decorato con intarsi marmorei, reimpiegando le colonne del ciborio paleocristiano e sezioni di un fregio romano del II secolo d.C. rappresentante putti a lato di un trono, intenti a giocare con i simboli di Nettuno: si tratta di parte di un ciclo di cui altri elementi sono conservati nel Museo Arcivescovile di Ravenna, agli Uffizi di Firenze e al Louvre di Parigi.